La Vendetta è autodistruttiva
Sono tutti concordi nell’affermarlo …. dalla Filosofia alla Psicobiologia
Ce lo spiega chiaramente Seneca palesando il suo pensiero raffinato in proposito , supportando ed anticipando le più diversificate successive teorie dalla psicosomatica e alla psicobiologia , attraverso parole decise e chiare :
“ Quando uno è arrabbiato dice cose che non pensa. È una reazione spontanea, è nell’indole di ogni uomo. Quando uno è arrabbiato cerca le frasi che possono il più possibile ferire la persona a cui sono dirette. Ma in realtà , a conti fatti, a litigio terminato , sta più male la persona che ha ricevuto quelle frecce avvelenate o colui che le ha scagliate ?”
Oggi più che mai è aumentato l’interesse sulla Psicologia del Perdono, probabilmente in maniera direttamente proporzionale ai torti ed agli inganni , in misura contestualmente crescente in questa epoca, anche incrementati dal web, lo schermo protettivo attraverso cui è facile “ fregare”, od almeno provarci, chi c’è dall’altra parte .
Umanamente verrebbe da dire : “perche’ mai dovrei perdonare chi mi fa del male , a volte anche volontariamente? Perché dovrei passare per stupido e magari incentivare il carnefice a sferrare il prossimo colpo?
Ricordiamo e sappiamo che, anche sforzandosi , la capacità di perdonare , “andare oltre” , non è “da tutti”, andando infatti a coinvolgere – per potersi definire “perdono” – l’intera sfera profonda di colui che “assolve” , quella comportamentale, emotiva , cognitiva ed etica.
La fase precedente al perdono , caratterizzata dalla vergogna , in primis verso se stessi nel ruolo scomodo di vittima , spesso autocolpevolizzandosi , e poi dalla rabbia , rendono in termini di tempistiche difficile il traguardo del perdono laddove le stesse perdurassero in maniera prolungata , inducendo invece e regressivi stati depressivi . Maggiore è la durata di tempo immersi in vissuti di vendetta più aumenta la possibilità di potenziamento di emozioni negative poi plasmate in ruminazioni e rancori limitanti la propria salute psico-fisica.
Cosa comporta a livello psicofisologico la capacità di perdono?
Sembra ormai provato come la predisposizione al perdono conduca a minori livelli di ansia e depressione, “scongiurati” dalla capacità meditativa e da buoni livelli di autostima in grado di contrastare il male interiore attraverso un “sano egoismo” reattivo : “la mia pace del profondo non può e non deve essere sconfitta dal male che mi hai inflitto”.
Al contrario, l’incapacità di perdonare può portare a sintomatologie consimili ( a volte le stesse ) di chi ha sviluppato un disturbo post-traumatico da stress , possibilmente direzionandosi verso depressione ed ansia cronica. La ruminazione ossessiva verso l’accaduto subìto può essere elaborato chiedendo un aiuto terapeutico strutturando un percorso , in primis , volto al superamento della severità verso se stessi , l’autoflagellazione mentale , umanizzando la vittima come persona con emozioni e sentimenti , quindi fallibile . La vittima è sempre almeno a livello inconscio più arrabbiata con se stessa ( per essere stata ingenua , aver puntato sulla persona sbagliata , aver concesso troppe possibilità ….) che con l’altro.
Rendersi e concepirsi fallibili significa lavorare sull’insano bisogno di perfezionismo verso se stessi e, di conseguenza verso gli altri, illusorio e auto demolente , predisponendo un lavoro terapeutico supportivo di stampo psico-educativo , fortificando l’identità del paziente nell’affrontare fattori endogeni , ad esempio, contemplando l’idea di propria fallibilita’ di giudizio , come anche esogeni , quali la capacità di affrontare l’imprevisto in modalità costruttiva e reattiva