Stili di leadership e produttività (parte 2)
Esiste uno stile di Leadership ritenuto in assoluto “giusto”? No.
Esiste un modo d’essere e di comportarsi “ideale” con i propri dipendenti anche predisponente alla volontà di produrre? Si.
Ripartendo dall’assunto base della prima parte dell’articolo , per cui maggiore è il benessere interiore dei dipendenti, maggiore sarà la produttività in termini di prodotto finito e tempi di esecuzione operativa, comprendiamo fino a che punto il leader / capo sia in grado di influenzare il lavoro di equipe in base allo stile di leadership adottato.
Chi è il Capo ASSERTIVO?
È il manager che pur avendo in mente chiaramente gli obiettivi da raggiungere insieme al suo gruppo di lavoro, è in grado di proporli in modalità “strategica”, adottando uno stile comunicativo comprensibile per tutti, chiaro, senza ferire alcuno.
Il rispetto porta rispetto , generando ascolto.
Ascoltare attivamente, molto diverso dal sentire uditivo, porta a:
- Riconoscere le risorse individuali e di gruppo e metterle a fuoco
- Non sottolineare solo errori ed insuccessi ma anche i punti di forza ed i successi, documentandoli , lasciandone traccia scritta da poter visualizzare come “automotivatore” nei momenti di sconforto.
- aiutare il lavoratore a conservare e riproporre le capacità, convertendo gli errori ed i fallimenti come possibilità ragionata di miglioramento successivo.
I feedback ricevuti nel contesto di lavoro contribuiscono a conservare l’immagine di se ed a costruire o modificare la propria immagine professionale , in molti casi accrescendo od abbassando la propria autostima .
Esiste una correlazione tra l’età cronologica del lavoratore e la tendenza a cristallizzare l’immagine di se in negativo qualora i rimandi siano prevalenemente frustranti: più il soggetto è giovane maggiori saranno gli effetti a lungo termine , se la percezione di sè attuale è in qualche modo già fragile.
È assertivo chi è Autorevole , non Autoritario.
Autorevolezza: esiste all’interno dell’azienda una gerarchia organizzativa che è importante ci sia , doverosa da far rispettare, portando “ordine”, un bisogno essenziale per il mantenimento dei ruoli senza sconfinamenti che generino confusione e rivendicazioni personali di competenze e capacità “rubate” e ridistribuite “a caso”: il dirigente/tutor/capo “autorevole”propone il proprio ruolo “dimenticandosene” : pur sapendo che sarà lui a decidere , ad avere l’ “ultima parola”chiederà comunque il parere dei collaboratori, adottando una modalità di lavoro “a cerchio” e non “dall’alto in basso” ,comportandosi come un normale e qualunque membro del gruppo, tenendoci e puntando alla produttività del gruppo comprendendo però che più si sentiranno parte di un team – soddisfando il bisogno innato di appartenenza ad un team – maggiore sarà il rendimento.
Per essere “autorevoli” bisogna avere grande capacità ed esperienza, esiste infatti un confine sottile , minimo, tra “autorevolezza” e “permissivismo” ( stile di leadership “laissez-faire” ).
Autoritarismo: rappresenta il “capo indiscusso”. Impartisce ordini da eseguire senza possibilità di confronto . È importante solo ed esclusivamente il profitto, sempre comunque considerato non correlato allo stato di benessere ambientale del dipendente ed ai vissuti dello stesso.
Il capo autoritario “personalizza” critiche e lodi, creando o agevolando inimicizie tra i dipendenti che si vedono “messi a confronto” anche pubblicamente , a volte.
Attiva procedimenti “unidirezionali” di lavoro, predisponendo in ogni caso situazioni di potenziale stress dato da overload lavorativo (sovraccarico ) impartito a chi ritenuto “valido”, generando nel dipendente un iniziale senso di valorizzante riconoscimento poi percepito a breve come sfruttamento ai propri danni a vantaggio dei colleghi. Per un gioco a specchio di facile associazione, dall’altra parte si genera invece una situazione di underload lavorativo ( sotto carico ), con conseguente vissuto di inutilità , senso di inadeguatezza, smarrimento e volontà di rivendicazioni.
L’autoritarismo provoca sempre a lungo termine situazioni di “inimicizie” ambientali indotte, quindi in realtà potenzialmente mai attivabili laddove non si fossero creati presunti o reali favoritismi nati dal bisogno di imperare creando “sudditi” invece che “lavoratori di pari dignità”.