Perché a volte crediamo di “non farcela” quando soffriamo troppo ed, invece, “ce la facciamo”?
I tre istinti innati “pro-vita”: l’istinto di Sopravvivenza, l’istinto di Autoconservazione, l’istinto di Autoaffermazione
Quante volte è capitato, ascoltando storie di altri, di fare quel tipico pensiero con determinata certezza “ se capitasse a me non ce la farei mai ad affrontarlo”….poi ti capita…. e ce la fai! (fortunatamente).
A quel punto insorge un altro pensiero, susseguito da mille altri ancora, tutti accomunati da un tema base, la conoscenza , o meglio la poca conoscenza di noi stessi, che abbiamo modo di percepire solo quando ci troviamo per la prima volta nella vita ad “affrontare l’imprevedibile ad alto impatto emotivo”, solo in quel caso comincia a svelarsi il vero sé, la parte più profonda di noi, seppellita da un quotidiano frenetico che inevitabilmente allontana dalla scoperta delle risorse dello spirito, ritrovandoci stupiti di noi stessi, di tutto quello che siamo in grado di affrontare , quasi spaventati dalla potenza interiore che neanche lontanamente pensavamo di possedere, specchiandoci di fronte ad “un altro sé” con la curiosità del bimbo che per la prima volta si guarda casualmente davanti ad uno specchio, non capendo bene se il riflesso di ritorno è davvero il proprio , quasi in una prima vera confusa identificazione “eccomi, questo sono io”.
Il Dolore è l’unica vera occasione di crescita ed è l’unica possibilità per riscoprire la vera forza innata come bagaglio “dono” dimenticato alla stazione della “vita quotidiana tranquilla” ,dove l’attenzione verso le proprie potenzialità è smarrita , divenendo molto più concentrati nel giudizio severo di ciò che “non siamo”o “non sappiamo fare” : la tranquillità paradossalmente ci rende meno sicuri di noi stessi , la preoccupazione risveglia la forza interiore sopita precedentemente nel sonno della dimenticanza
- Perché spesso ( non sempre, non valido per tutti ) abbiamo bisogno di soffrire prima di conoscere davvero il nostro “bagaglio di forza?”
Mondo animale e mondo umano funzionano mediamente allo stesso modo ma l’essere umano, mediato dalla ragione , può rigettare o rinnegare il diritto di autoconservazione ( ad es nel caso di suicidio )
Ci spiega bene Konrad Lorenz come i due mondi interni dell’uomo e dell’animale rispondano mediamente allo stesso modo di fronte alle situazioni di avversità , paura, dolore , attivandosi in automatico i tre istinti ad essi correlati : autoconservazione, sopravvivenza, autoaffermazione.
L’istinto, potente forza proveniente dall’interno dell’organismo, pare “programmato” in maniera innata dal cervello, andandosi poi ad incanalare verso qualche direzione ( positiva o negativa). E forse la scelta ragionata dall’essere umano l’unico libero arbitrio in grado di assecondare o contrastare l’innato dono regalato verso la conservazione energetica di sé
L’istinto di sopravvivenza ed autoconservazione è contagioso : è facile , se avete mai visto soffrire seriamente un vostro caro mentre lotta per la vita, magari in una stanza d’ospedale accorgervi di come, secondo un silenzioso accordo , comincerete a lottare anche voi , all’improvviso è “come se” vi ritrovaste con un sovrappiù di forza fisica e mentale che non pensavate di possedere : le energie istintive si stanno intrecciando formulando un unico immenso cumulativo inconscio di sopravvivenza di massa , lo stesso che guida in maniera compatta l’equipe medica mentre opera, i reparti particolarmente significativi, chiunque debba o speri di “salvare qualcun altro credendoci”.
Perché “sembra” che alcuni non possiedano l’istinto di Autoconservazione?
Questo certamente dipende da due diversi fattori:
- Fattori socio-psicologici che incidono sullo sviluppo della personalità di un soggetto bambino , futuro adulto : non si è ben formata, non è stata adeguatamente insegnata, la possibilità di percepire e riconoscere il pericolo , non andando successivamente ad innescarsi il senso della paura ( che porterebbe a reazioni di autoprotezione ) . In tal caso risultano compromessi i meccanismi di difesa interni volti appunto al riconoscimento dell’ambiente esterno , nel bene e nel male , con tutti i pericoli annessi in interazione con l’essere umano , portando il soggetto a muoversi in modo “disorientato” verso ciò che può colpirlo a livello di intensità di pericolo e percezione reale dello stesso
- La percezione del proprio “ruolo” ed “importanza” autopercepita nel mondo sociale di appartenenza ( micro e macro ambiente )
È stato più volte osservato come, persone con una percezione “bassa” di se stessi e del proprio ruolo sociale nel mondo in termini di “utilita’” di presenza ,sia in famiglia che nel luogo, ad es, lavorativo, sviluppino o riducano nel tempo la propria volontà ad assecondare l’istinto di autoprotezione . È noto come medici ed infermieri raccontino di come sia più frequente in soggetti con scarso senso di un sé valoriale, lasciarsi andare alla morte , divenendo la capacità reattiva gradualmente inibita : “tanto a cosa servo? Non ha senso che io rimanga” . Combattere per la vita ,un altro modo più poetico per definire “l’istinto di conservazione”, è quasi naturale scelta , potenziata , laddove il soggetto riporti motivi per vivere ancora , rialzarsi, riprovare , perfino di fronte a situazioni di evidente imminente fine.