“Quelli che non riescono a buttar via niente”: la disposofobia
Non è stato per molto tempo chiaro in quale categoria diagnostica far rientrare il disturbo da accumulo grave ( DISPOSOFOBIA), per molto tempo accomunato al disturbo ossessivo compulsivo (DOC) e, solo nel 2013 rivisitato, come troviamo scritto nel manuale diagnostico DSM-V come “disturbo autonomo” , “hoarding disorder”, ma comunque correlato in maniera incidente al DOC.
Come si comporta l’accumulatore seriale?
Il disposofobico accumula qualsiasi cosa, indipendentemente che si tratti di oggetti della stesse specie; sono sicuramente più noti i casi di accumulatori di giornali, riviste diversificate ( tutto ciò che compensa il proprio Io fragile tramite un “riempimento” con il “sapere”) in realtà nella maggioranza dei casi è indipendente l’appartenenza per categoria d’uso: l’accumulatore grave ha solo bisogno di riempire, difficilmente distinguendo “con che cosa”: il tragitto dalla porta d’ingresso della stanza fino al letto può essere molto tortuoso da compiere, potremmo incontrare durante il “percorso” un pavimento ormai inesistente ricoperto da giornali, scarpe, borse, cibo, bevande, peluches, quaderni, qualsiasi cosa…
Chi sono gli “accumulatori seriali” e quali cause profonde spingono ad adottare questo comportamento compulsivo
L’accumulatore seriale sempre si vergogna del proprio comportamento , mascherandolo e rivisitandolo a proprio piacimento con il fine, illusorio, di impregnarlo di connotazione “etico/morale”: “non voglio sprecare le cose….bisogna dare importanza al denaro….potro’ riutilizzarlo più avanti….” .
Sebbene in misura minima tutti abbiamo fatto questo tipo di ragionamento, confinandolo però all’interno di un “agire rientrante in criteri di sanità”, per il disposofobico non è affatto così , questo ormai è certo ed approvato da innumerevoli studi . Esiste, invece, una concausa di natura cognitivo e psicologica nell’attuazione del comportamento in questione: a livello strutturale cognitivo pare mancare la categorizzazione e selezione nel decidere “cosa è importante o no”, “cosa tenere o buttare” che, se letto in chiave metaforica e trasferito sul piano simbolico psicologico, ci fa capire molte cose sul funzionamento degli “inganni mentali” , quali mezzi difensivi adottati però con risvolto patologico in identita’ non formate in maniera evolutiva : immaginiamo quanto sia fondamentale andare indietro nel tempo e comprendere come nasca questa incapacità “di sintesi” e quanto sia generalizzata al presente e trasferita sotto forma di “caos ambientale” , sottolineando come tali soggetti siano perfettamente in grado di “tenere in ordine” quando l’ambiente fisico non sia il proprio del privato: l’ufficio dell’azienda può apparire lindo, la propria casa l’esatto contrario, perché è la casa che rappresenta il “vero io”, l’ “intimo emozionale”, irrisolto e caotico nel caso del disposofobico.
L’accumulatore seriale non ha mai formato un’identità solida, oserei dire non ha mai formato un’identità, ha paura del cambiamento e del tempo che passa non riuscendo a guardarsi in maniera evolutiva ma rimanendo “sempre un po’ bambino”: cristallizzando oggetti nel tempo , ferma se stesso nello stadio evolutivo , che non è in grado di affrontare.
Una delle cause del disturbo, perfettamente comprensibile in base a quanto appena esposto, parrebbe essere aver subito un’ infanzia di trascuratezza, abbandono emotivo, (in alcuni casi segnata da abuso), risultando impossibile la strutturazione di un IO capace di cernita, invece elemosinante la “conservazione” e l’ “attaccamento” a simboli concreti di certezza , fantasticati illusoriamente in “sicurezza stabile” come, ad esempio, diverrà in età adulta l’accumulo di oggetti da conservare nel tempo.
Esistono altre teorie psicologiche legate alle cause dell’insorgenza del disturbo, alcune però anche genetiche : pare , ad esempio, dimostrato come in soggetti pazienti con traumi riportati al lobo frontale del cervello, spesso si sviluppino comportamenti di tipo compulsivo accumulatorio; dunque potrebbe accadere che in tali soggetti si possa trovare un mal funzionamento a priori o indotto in maniera traumatica e rivelato solo a posteriori.
Il trattamento: tipicamente il trattamento del disturbo disposofobico è tipo integrativo:. Farmacologico e psicoterapeutico, di tipo cognitivo comportamentale come metodologia privilegiata, basandosi sul condizionamento per step organizzativi di rimodellamento del pensiero -azione.